Lapisvedese

Ragazzo mio

Posted in #15 Quindici, Antipasti e spuntini by Lapisvedese on 8 aprile 2013

Sì hai ragione tu, c’era un po’ di sole, era carnevale. Mi fissavo le scarpe e non approfittavo del divano né delle riviste però del divano mi consolavano i colori tenui delle strisce di beige e smeraldo delle giuste dimensioni. Lei è una che ha gusto nell’arredare e nel vestire e forse anche nell’ordinare il vino al ristorante, impermeabile alla volgarità, sa salutare i camerieri e gli uomini di fatica che portano i divani ai piani senza ascensori. Se ero lì a riparare qualcosa, può darsi, ma non chiedermi cosa, non di preciso almeno. Come lei che mi chiedeva perché fossi lì, e io da stupido che speravo fosse lei a dirmelo. Lei che ha gusto nel farmi capire quando non è come me la sarei aspettata, mi dice: ragazzo mio. Intanto aspettavo, in un posto che tu chiameresti parlour, dove invece non si parla affatto, che aveva un profumo di essenze di fiori che avrebbe fatto venire mal di testa al mio amico Michele. Qualcosa da riparare, ci pensavo come se dovessi risolvere un diciannove orizzontale da ventidue lettere e non mi veniva proprio in mente. Era come se mi vergognassi di uscire da lì per entrare nell’altra stanza senza prima aver capito, sarebbe stato come non aver fatto i compiti. Ma lei non mi avrebbe mai sgridato. Anzi, mi avrebbe detto che non li dovevo fare i compiti, garantito al pistacchio. Era di questo che mi vergognavo. C’era un disegno di Arlecchino fatto a pastelli, incorniciato, legacy mi veniva in mente: perché ho sempre pensato che fosse lì da prima, prima di lei, o che le fosse stato lasciato in eredità da uno zio che non sapeva dove altro esporlo. Legacies, sono quello che ci portiamo appresso, come per esempio le mie dita che avevano un dolce profumo tostato perché me le ero scottate sfornando il pane. Non sapevo dove fossi tu, probabilmente da qualche parte a Londra, camminando con il tuo cappello di pelliccia in testa e i tuoi occhiali da Talia Shire, sulle tue sopracciglia folte, così retrò, così magra, così altera. Il sole che scende dietro la torre della BT. C’era qualcosa da riparare anche nella nostra distanza? Interrogavo le mie dita, il divano, le riviste di arredamento e di Arlecchino cercavo di decifrare la firma. Ho sentito i suoi tacchi avvicinarsi alla porta, e poi la molla scattare azionata dalla maniglia. La prima cosa che ho fatto entrando è stato dimenticarmi di tutto. È vero, adesso che ci penso, c’era il sole, ma quarantacinque minuti dopo non ce n’era quasi più, era carnevale.

SG

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