Lapisvedese

Miliband è uno di noi

Posted in Antipasti e spuntini by Lapisvedese on 2 aprile 2013

Una squadra di calcio inglese ha ingaggiato un allenatore italiano, una persona che, nella sua carriera di calciatore prima e allenatore poi, in Italia e in Inghilterra, non ha mai nascosto le sue simpatie fasciste e neofasciste.
Questo aspetto politico della vita dell’allenatore non ha strettamente a che fare con la sua vita lavorativa, ed è normale che questo non gli impedisca di ottenere incarichi professionali di qualunque tipo – solo un fascista penserebbe in questo modo –, ma è altrettanto normale, o quantomeno dovrebbe esserlo, che simpatie del genere, esternate in passato anche con gesti eclatanti, mettano in imbarazzo l’integrità di una persona che si trovi, a causa di questo nuovo ingaggio, a condividere il lavoro con il fascista dichiarato di cui sopra. Una di queste persone, essendo non solo un generico elettore di sinistra, ma un esponente di spicco del Partito Laburista inglese, già ministro degli esteri, è stato coerente fino in fondo con le sue idee e ha rassegnato le dimissioni da vicepresidente della squadra di calcio in questione. Un gesto limpido nella sua valenza simbolica e, immagino, significativo nella sua portata economica.
Il comportamento schiettamente e onestamente antifascista del politico dovrebbe passare inosservato nella sua naturalezza, se solo l’antifascismo fosse quello che dovrebbe essere: una base comune del vivere civile, un sentimento condiviso e universale quanto, ad esempio, l’antischiavismo. Provate questo esercizio: ogni volta che qualcuno tenta di giustificare fascismi vecchi e nuovi, o magari a rivendicarli con orgoglio, come l’ex calciatore italiano in questione, sostituite la parola “fascismo” con “schiavismo”: «Anche lo schiavismo ha fatto cose buone», «Quando c’era lo schiavismo le balle di cotone arrivavano in orario», «Schiavismo e antischiavismo sono concetti superati», «L’errore degli schiavisti è stato entrare in guerra, gli schiavi stavano meglio prima» e così via.
Il calcio, e lo sport in generale, inducono spesso a ragionare in termini di contrapposizioni, e non è un caso che le metafore sportive, così come i grandi eventi dello sport, abbiano tanto successo nel discorso politico: sfide, rimonte, vittorie, sconfitte, outsider, dominio, sostegno sono tutte parole che si applicano facilmente a entrambi i contesti, ma è indubbio che il mondo dello sport abbia una popolarità e un’immagine decisamente più positiva della politica, nonostante, da un lato, gli scandali non manchino nello sport e, dall’altro, la politica incida realmente nella vita delle persone, certamente non solo in negativo. La “sportivizzazione” del linguaggio politico fa leva sulle emozioni delle persone, nel tentativo di condizionarne le scelte, e ha tra i principali effetti di senso quello di ridurre le contrapposizioni politiche e le differenti visioni della società a questioni di “tifoseria”. Il che è estremamente vantaggioso per il sistema di potere, in quanto le tifoserie non si considerano determinanti per i risultati sportivi: possono condizionarli leggermente, soprattutto in positivo, quando dimostrano il loro sostegno, ma di fatto sono fuori dalla competizione in senso stretto, che si svolge su un campo da cui gli elettori-tifosi sono rigorosamente esclusi. Il tifo può essere liberamente e democraticamente rivolto a squadre grandi e piccole, ma i risultati sportivi dipendono in misura infinitesima dall’eventuale sostegno ricevuto, sostegno che semmai cambia per effetto dei risultati.
Abituati come siamo a sentire parlare di politica in termini sportivi, rimaniamo spiazzati dall’irrompere della politica nello sport. Spesso la reazione immediata è di rifiuto, come se la politica, per sua natura sporca, corrompesse lo sport, per sua natura pulito, nonostante le forti similitudini, continuamente e reciprocamente richiamate dalle due sfere.
Un gesto come quello del vicepresidente della squadra di calcio inglese, che si dimette pur di non avere a che fare con un calciatore fascista, fa “incrociare i flussi” che dovrebbero correre paralleli, fa sembrare la sua una reazione “da ultrà”, una reazione esagerata a una semplice contrapposizione di maglia. L’antifascismo fa però parte delle regole base del vivere civile, quanto il non toccare il pallone con le mani o il cercare di fare gol in mezzo a tre pali fanno parte delle regole del calcio. Mi riferisco sia alle regole non scritte, che accomunano le partitelle sulla spiaggia a quelle dei mondiali, sia a quelle scritte, che negli sport sono rappresentate dai regolamenti ufficiali, e nella società da documenti quali le Costituzioni nazionali.
I regolamenti sportivi possono cambiare e cambiano continuamente, così come le leggi di una nazione, ma i fascismi mettono in discussione le regole base della convivenza, e lo fanno sempre in maniera unilaterale: sono forzature che pretendono “democraticamente” di cambiare la società a proprio favore, in modo tale che una squadra debba giocare secondo le regole, mentre l’altra ha il “diritto” di usare le mani, giocare in quindici e usare mazze da hockey come attrezzatura standard.
I fascismi non sono affatto spariti (e, a guardar bene, nemmeno gli schiavismi), hanno solo cambiato forma. Aggrapparsi alla fine storica del regime fascista italiano per negare il fascismo odierno è completamente antistorico e fuori prospettiva: la fine del Partito Nazionale Fascista sta alla fine del fascismo quanto l’abolizione della pena di morte sta alla fine dell’omicidio.
I fascismi, tutti, in qualunque luogo e in ogni epoca in cui si manifestino, vanno riconosciuti e respinti alla radice, con la stessa determinazione e la stessa naturalezza con cui respingiamo schiavitù, razzismo e omicidi.
Siccome questo non accade, o mi sembra accada sempre meno, applaudo con convinzione al gesto di David Miliband.

MC

Una Risposta

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  1. Lapisvedese said, on 11 aprile 2013 at 07:38

    l’impressionante evoluzione dal 1960 ad oggi dei paesi che hanno abolito… la pena di morte http://www.televideo.rai.it/cms2008/Contents/files/2013/4/amnesty_pena_morte.pdf


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